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Batteria Lenovo Thinkpad T500

Ebbene dal report è emerso che l’impiego in fabbrica settimanale per ogni addetto supera oggi le 60 ore, che oltre il 60% dei lavoratori in attività presso le tre unità monitorate è sottopagato (la retribuzione non consente a questi lavoratori di soddisfare i primari bisogni di sussistenza in relazione all’attuale costo della vita di Shenzhen e Chengu, le località dove le fabbriche hanno sede) e che il 14% degli addetti non riceve adeguati compensi per le attività svolte extra orario concordato.

Le violazioni sono evidenti e non a caso le risposte di Foxconn – che, bene ricordarlo, ha fra i suoi clienti anche altre illustri aziende tecnologiche come Hewlett-Packard, Dell e Sony - e Apple non si sono fatte attendere. L’orario di lavoro settimanale sarà ridotto a 49 entro l’inizio di luglio del 2013, il sistema di gestione delle ore di straordinario (che conteggia solo gli extra che eccedono i 30 minuti) verrà modificato e ai lavoratori saranno riconosciuti i compensi dovuti in modo retroattivo.

Da Auret van Heerden, presidente e Ceo di Fla, arriva inoltre conferme che – “Apple e si suoi fornitori hanno accolto le nostre indicazioni e verificheranno pubblicamente le condizioni di lavoro rispetto a quanto evidenziato dal nostro report” – e sulla stessa lunghezza d’onda si esprime la nota ufficiale diffusa da Cupertino.

In attesa di conoscere i dati relativi agli audit sulle condizioni di lavoro effettuati dalla Fair Labor Association, che interesseranno a breve anche altri due grandi fornitori di Apple & co. come Quanta e Pegatron, è curioso ricordare come il Ceo di Apple, Tim Cook, si sia recato in visita a una delle fabbriche della Foxconn solo una settimana fa. 

La presenza del numero uno di Cupertino all’unità produttiva di Zhengzhou, una struttura di nuova costruzione in cui operano circa 120mila persone, non è stata però certo l’unico motivo del viaggio in Cina del successore di Steve Jobs. Che a Pechino ha incontrato, oltre ad alcuni esponenti del Governo, i vertici di China Telecom e China Unicom (i due più grandi operatori di telefonia mobile del Paese, con circa un miliardo di utenti complessivamente all’attivo) per parlare del nuovo iPhone. 
Ci sono importanti cambiamenti in atto in Sony, dove il neo amministratore delegato e presidente Kazuo Hirai ha annunciato una significativa ristrutturazione che dovrebbe riportare la casa giapponese in attivo. Sony si concentrerà su "tre pilastri fondamentali": imaging digitale, gaming e mobile, destinati a guidare la rivitalizzazione e la crescita in tutte le attività del gruppo", offrendo "esperienze utente più accattivanti attraverso la convergenza dei beni unici di tutto il Gruppo Sony".

Hirai sarà personalmente alla guida di una squadra esecutiva che include Masaru Kato, che assumerà il ruolo di CFO (Chief Financial Officer), e Tadashi Saito, CSO (Chief Strategy Officer), che saranno responsabili della gestione finanziaria, aziendale e delle strategie di business. Shoji Nemoto, Corporate Executive Officer, supervisionerà la strategia di innovazione tecnologica, mentre Kunimasa Suzuki, Corporate Executive Officer ed Executive Vice President, supervisionerà quella di prodotto.

La ristrutturazione porterà anche una maggiore attenzione verso la ricerca e sviluppo, per portare Sony a individuare e precorrere nuove tendenze nell'elettronica di consumo. Shoki Nemoto avrà la responsabilità globale "creare nuove imprese e valorizzare le attività di R&D, che sono le basi per la prossima generazione di innovazioni tecnologiche di Sony", oltre a "implementare un processo di selezione rigoroso per consentire all'azienda di ottimizzare l'allocazione delle risorse".

Nel frattempo, Hirai spingerà sulle piattaforme gaming e per l'home entertainment, con l'aiuto di Kunimasa Suzuki, Dirigente responsabile della User Experience, che dal primo aprile assumerà "la responsabilità per la pianificazione e il design di tutti i prodotti di consumo e dei servizi correlati, con l'obiettivo di rafforzare l'integrazione orizzontale e di migliorare l'esperienza utente".

I Chromebook di Google potrebbero ritrovare nuova linfa vitale con i processori ARM, che potrebbero portare a una maggiore autonomia, ma anche a prestazioni migliori qualora fossero impiegati chip di ultima generazione. Alcune informazioni pubblicate su fonti ufficiali riferiscono infatti che l'azienda di Mountain View potrebbe essere al lavoro per rendere i suoi notebook con Chrome OS compatibili con processori ARM. Google sta studiando il modo per installare SoC Exynos nei suoi Chromebook Il riferimento è in particolare al SoC Samsung Exynos 5250, che sembra rientrare in un prodotto allo studio, per ora identificato con il nome in codice Daisy. Le informazioni molto frammentarie non consentono di stabilire nemmeno se Daisy sarà un desktop, un notebook o un tablet.

L'Exynos 5250 potrebbe essere uno dei primi chip ARM Cortex-A15, fabbricato con processo costruttivo a 32 nanometri e velocità massima di clock di 2 GHz. Se questo fosse il processore dei nuovi Chromebook porterebbe anche un vantaggio di prestazioni oltre ai consumi ridotti, rendendo forse per la prima volta davvero interessante questa categoria.

Robert Passikoff ha quindi concluso che "Apple sta prendendo la proprietà dell'intera categoria" tablet, anche se lo spostamento del marchio dal singolo prodotto alla famiglia potrebbe sottintendere all'intenzione di fare un minor numero di aggiornamenti importanti all'anno. Questa seconda analisi è poco condivisibile: l'esperto di marchi forse non sa che Apple tradizionalmente aggiorna i suoi prodotti una sola volta all'anno, puntualmente.

Non è invece del tutto da scartare l'idea che con il brand unico Apple potrebbe essersi ricavata lo spazio per quel Mini iPad di cui si parla invano da tempo. Ci credete che arriverà un giorno? Francamente non ne vediamo il motivo, visto il successo planetario del formato nativo.

Google ha inaugurato ufficialmente oggi il nuovo servizio cloud Google Play, che unisce sotto un unico brand il vecchio Android Market, e i servizi Google Music, Google eBookStore e Google Movies. Tutti i contenuti scaricati da Google Play saranno immediatamente disponibili sul PC, così come sullo smartphone e sul tablet, senza dover fare alcuna sincronizzazione.

Jamie Rosenberg, direttore dei contenuti digitali in Google, ha spiegato a Cnet che Google Play è stato progettato per abbattere i muri che separano le offerte dell'azienda per i consumatori. I servizi di Google resteranno infatti gli stessi, ma la loro centralizzazione dovrebbe favorirne la fruibilità, oltre a poter eseguire ricerche contemporaneamente su tutti i canali che fino a ieri vivevano separati in casa.

Se ci accontenteremo di meno potenza, a breve potremo probabilmente avere un primo assaggio dei Chromebook con processore ARM: si tratta del Vaio VCC111, un Chromebook per il quale l'azienda giapponese ha presentato tutta la documentazione alla FCC (Federal Communications Commission), in cui sono contenute immagini e particolari interessanti riguardo al prodotto.

La nota che ha attirato l'interesse su questo prodotto è quella che riguarda il processore: sembra si tratti di un modello ARM, e in particolare del Tegra T25 di Nvidia. Si tratta di un SoC dual-core da 1.2 GHz ARM Cortex A9. Gli altri due Chromebook attualmente in commercio, prodotti da Samsung e Acer, si basano su CPU Atom di Intel. L'idea è apprezzabile, ma resta da vedere se e quanto farà da propulsore alle vendite estremamente deludenti di questa categoria di prodotti.

I Chromebook sono arrivati in commercio lo scorso anno, dopo che Google li aveva spinti con il prodotto di riferimento Cr-48. Sia la proposta di Acer sia quella di Samsung sono state in sostanza un flop perché l'idea di lavorare via cloud è senza dubbio d'avanguardia, ma i più reputano che la mancanza di applicazioni installate in locale e di spazio di archiviazione sia uno svantaggio nella misura in cui non ci sia disponibilità di una connessione stabile a Internet.

La nuova Internet è un po’ più tricolore. Un po’ più italiana perché, abbandonando la centralità del pc, si sposta verso il mondo mobile, che nella Penisola da sempre riscuote un grande successo. Gli ultimi dati estratti dall’Osservatorio New media e New Internet realizzato dalla School of Management del Politecnico di Milano confermano la tendenza e in questo modo è possibile che venga superata la diffidenza del passato anche perché il cambiamento non riguarda solo il mobile, ma arriva fino alle nuove Tv, si sposta dal browsing alle application e dà grande spazio ai social network.

 

Batteria Lenovo Thinkpad T61

Certo l’alleanza di interessi stretta fra Nokia e Microsoft, il successo imperturbabile dei telefonini della Mela e la consolidata supremazia di Android (Google) a livello di piattaforma fa lecitamente pensare che la sorte della sfida fra produttori occidentali ed orientali non sia irrimediabilmente segnata a favore dei secondi. Anzi. Dalla loro Samsung e compagnia hanno però un peso notevole nel business dei componenti (memorie, schermi) anche se le varie Intel, Qualcomm e Nvidia sono californiane e Arm (che fornisce loro la tecnologia per i chip per smartphone e tablet) è inglese.

Per contro pc, notebook, iPad, iPhone e molti altri device elettronici sono prodotti in larga misura in Cina dai grandi Oem asiatici, da Quanta a Compal passando per la tristemente nota Foxconn. Ed è quindi l’Asia il centro produttivo dell’hi-tech globale, non certo l’Est Europa.

Non può inoltre passare inosservato come il Vecchio Continente abbia perso via via peso sotto il profilo della ricerca e sviluppo e della capacità di innovazione. Symbian, il sistema operativo che ha fatto la fortuna di Nokia, è finito in un angolo a favore di Windows. Philips, un nome storico del mercato Tv, ha ceduto gli asset alla cinese Tpv Technology e ora il destino dei suoi prodotti e del suo marchio (nei televisori) è deciso ad Hong Kong. Per non parlare dei grandi player in campo semiconduttori, da Siemens a Sgs Thomson passando per la stessa Philips, oggi molto più defilate rispetto al passato.

Il pallino della tecnologia (hardware e software) che si muove dietro i device che vanno per la maggiore fra semplici consumatori e generici appassionati, professionisti e top manager è in mano alle aziende americane ed asiatiche (coreane, taiwanesi e giapponesi) e su questo c’è poco da discutere.

In alcuni ambiti le prime sono decisamente meglio posizionate (vedi i sistemi operativi e relativi ecosistemi di apps targati Apple, Google e Microsoft), in altri la bilancia pende decisamente dalla parte delle seconde, ed è il caso dei pannelli (Lcd, Led e Oled) utilizzati in tutte le categorie di device muniti di schermo, dai telefonini ai Gps, dai monitor ai televisori senza dimenticare i micro pannelli montati a bordo di periferiche e altri accessori elettronici. In altri ancora, come nei pc, la sfida si gioca alla pari, con Hp e Dell da una parte e Lenovo, Asus, Acer e Toshiba dall’altra. Il sorpasso di Samsung nei confronti di Nokia, in ogni caso, è una svolta che fa riflettere.
Taglio in vista per 10mila addetti entro marzo 2014in casa Sony, circa il 6% della forza lavoro globale oggi in organico. Il colosso giapponese, l’anticipazione è arrivata ieri dal quotidiano finanziario Nikkei, dovrebbe annunciare la pesante riorganizzazione dopodomani, giovedi 12 aprile, quando l’annuncio sarà dato dal nuovo Ceo Kazuo Hirai. 

La forbice è prevista per i prossimi due esercizi fiscali e interesserà in modo particolare le attività nel settore chimico e quelle nel campo delle Tv Lcd di piccole e medie dimensioni in considerazione del fatto che proprio gran parte delle perdite dell'esercizio appena chiuso, il quarto di fila in "rosso" per la compagnia, sono imputabili al crollo delle vendite dei televisori a cristalli liquidi.

Da Sony, al momento, non sono arrivate nè conferme nè smentite ma il piano di riorganizzazione – battezzato “One Somy” – è già partito da inizio aprile, da quando cioè è ufficiale il cambio al vertice della società, con Hirai a prendere il posto di Howard Stringer. Digital imaging, gaming e mobile sono i tre pilastri del nuovo corso della multinazionale di Tokyo e in relazione al nuovo assetto vi saranno anche sostanziali avvicendamenti in alcune posizioni di rilievo (per esempio nella divisione Mobile Communications).

L’intezione del nuovo Ceo è quella di puntare con più decisione sui prodotti professionali per ridare fiato anche alle vendite in campo consumer ma ciò che il giovane successore di Stringer è chiamato a fare è soprattutto invertire la tendenza negativa nei bilanci. L’ultimo esercizio fiscale, chiuso il 31 marzo 2011, ha visto Sony archiviare una perdita di 260 miliardi di yen (circa 3,2 miliardi di dollari) e per quello appena terminato non ci sono avvisaglie che possa essere molto migliore."Non è la prima volta che Foxconn promette delle riforme e sicuramente non è la prima volta che gli abusi dei diritti dei lavoratori sono stati denunciati. Ora possiamo solo aspettare e vedere se il board di Foxconn manterrà le promesse fatte”. Così Li Qjang, presidente della China Labour Watch - un'organizzazione indipendente non profit e negli ultimi 12 anni ha condotto una serie di valutazioni delle aziende cinese, soprattutto quelle che producono per le grandi multinazionali - commenta l’annuncio dell’azienda cinese che ha promesso condizioni di lavoro migliori nei suoi stabilimenti dove sono assemblati per conto di Apple gli iPad e gli iPhone.

La promessa cui fa riferimento Li Qjang parlando con NetworkersNews è arrivata dopo che le ispezioni negli stabilimenti Foxconn di Shenzhen e Chengdu, ove si assemblano dispositivi anche per altri giganti hitech come Dell e Hp, hanno confermato condizioni di lavoro non rispondenti agli standard previsti dalle leggi cinesi.

Il report della Fair Labor Association (frutto di quasi 3mila ore d’indagini) ha dimostrato che sono state violate parametri base come l’orario di lavoro (l’impiego in fabbrica per ogni addetto supera le 60 ore settimanali) e i compensi (oltre il 60% dei lavoratori risulta sottopagato al punto da non potere soddisfare i primari bisogni di sussistenza e buona parte degli addetti non riceve le dovuta retribuzione per le attività svolte extra orario). E non solo. Le pause settimanali, secondo il rapporto, venivano in alcuni periodi eliminate e le fabbriche oggetto di analisi hanno evidenziato lacune igienico sanitarie e notevoli rischi per la sicurezza dei lavoratori.

Il fenomeno a cui si riferisce Passikoff è ampiamente documentato anche nel dizionario: si chiama metonimia ed è una figura retorica che che consiste nel sostituire una parola con un'altra che abbia con la prima una certa relazione, ad esempio di contiguità logica o materiale. L'iPad 2 costituiva un modello della categoria tablet, togliendo il numero l'iPad diventa identificativo di un prodotto, ma anche di una famiglia e di un ecosistema, tanto per cominciare. Da qui a pronunciare il nome iPad per parlare in generale di tablet il passo è breve, e lo dimostrano celebri precedenti.

Oggi iPod è il nome più diffuso per identificare i lettori MP3, come Walkman (marchio Sony) era quello pronunciato per i mangianastri e i lettori di CD portatili. E che dire di Photoshop, che identifica universalmente i software di fotoritocco? Adobe ha dovuto avviare un'azione legale per imporre (peraltro invano) a livello globale di non usare la parola "photoshoppata" per indicare che un'immagine è stata ritoccata.

Le misure correttive definite da Apple e Foxconn, annunciate dopo la pubblicazione del rapporto e a dieci giorni dalla visita agli impianti cinesi del Ceo di Cupertino Tim Cook, prevede - entro luglio 2013 – il ripristino dell’orario di lavoro nei limiti della legge definita dal governo di Pechino (49 ore settimanali come tetto massimo, straordinari compresi), una riduzione dell'impegno lavorativo che non pesi sulle buste paga dei dipendenti e l'assunzione di nuovo personale.

Sono impegni rispetto ai quali Li Gjang manifesta scetticismo: “se la società ha davvero intenzione di cambiare lo dimostrerà. Noi possiamo solo aspettare, anche se la maggior parte dei provvedimenti annunciati sono programmati per essere operativi non prima di 15 mesi, a partire da oggi. Un’attesa forzata, per noi’’
La Foxconn è la più grande azienda privata in Cina, ove impiega oltre un milione persone: se le sue promesse, e gli accordi con Apple, saranno davvero attuate stabiliranno un precedente importantissimo, in grado di incidere sull’intero sistema della produzione industriale nel grande Paese asiatico. E non solo. Basti pensare che anche Dell, Hp, Amazon, Nokia, Sony, Motorola e altri giganti dell’hi-tech si affidano ormai stabilmente a fornitori cinesi.
Secondo Cnet, e parliamo di un sito assai autorevole negli Usa, Intel dovrebbe lanciare la sua ultima famiglia di processori, conosciuta con il nome di Ivy Bridge, l’ultima settimana di aprile. A seguire saranno annunciati diversi notebook e desktop basati sulla Cpu a basso consumo a 22 nanometri della casa di Santa Clara.

Il ritardo nel lancio di Ivy Bridge avrà però una conseguenza sui nuovi rilasci che Intel ha in serbo per tablet e smartphone, che dovrebbero a questo punto essere svelati un paio di settimane più tardi di quanto originariamente previsto.

Ivy Bridge è il processore che offrirà (finalmente) un chip grafico integrato di un certo spessore , il migliore da quando Intel ha intrapreso la strada di assemblare in un’unica fettina di silicio (il cosidetto “die”) sia la parte di calcolo (la Cpu) sia la parte grafica (la Gpu). Non diversamente, stessa enfasi è stata data da Apple nell’annunciare il nuovo chip grafico integrato nel processore A5X che alimenta gli iPad di terza generazione.

Anche se il primo processore Ivy Bridge arriverà questo mese, gli altri modelli della famiglia dovrebbero essere annunciati nei mesi seguenti. Come Intel ha fatto in passato, i chip quad-core saranno i primi ad arrivare ai produttori di pc e sugli scaffali mentre poco più in là sarà la volta dei processori a basso consumo che verranno integrati sugli ultrabook e anche sul MacBook Air di Apple.

 

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Die Lösung für dieses Problem ist relativ einfach: Drücken Sie Strg+Alt+Entf, starten Sie den Windows Task Manager und nutzen Sie diesen, um Prozesse zu finden, die eine unerklärbar hohe CPU-Auslastung anzeigen. Falls ein Programm sich nicht normal beenden lässt, schließen Sie den Prozess mit einem Rechtsklick und wählen Sie „Prozess beenden“. Bei Internet-Browsern sollte das in der Regel funktionieren. Falls das aber auch nicht hilft, führen Sie einen Systemneustart durch.

Sie sollten auch Hintergrundprozesse, die den Prozessor oder das Netzwerk sehr beanspruchen, beenden, wenn Ihr Notebook nicht angesteckt ist. Sie sollten sicherstellen, dass Windows-Update oder andere Update-Programme nicht versuchen große Mengen Daten herunterzuladen.

Die Windows-Updatefunktion zu deaktivieren ist ganz klar zu drakonisch (ganz besonders wenn Sie vergessen diese danach wieder zu aktivieren). Aber Sie sollten hin und wieder nachsehen, wann Sie erhöhten Traffic haben und so rechtzeitig große Datentransfers unterbinden, um damit wertvolle Minuten der Batterielaufzeit zu retten.

Sie können unbenutzte Hardware-Optionen oder Anschlüsse deaktivieren, um ein paar Minuten mehr aus Ihrem Akku herauszuholen. Allerdings gibt es diese Möglichkeit nicht bei jedem Laptop. Fangen Sie an unnötige Kabellosverbindungen wie eingebaute Modems, WLAN und Bluetooth abzuschalten.Das DVD-Laufwerk ist ein weiterer Energieverschwender, der die Batterie schnell entleeren kann. Lassen Sie deshalb keine DVD oder Blue-Ray im Laufwerk, wenn Sie diese nicht benötigen.Viele aktuelle Notebooks haben beleuchtete Tastaturen, welche großartig sind wenn Sie in dunkler Umgebung arbeiten, aber auf die Sie, wenn Sie im Batteriebetrieb arbeiten, verzichten sollten.

Haben wir irgendwelche nützlichen Tipps vergessen? Wie bereiten Sie Ihr Notebook auf eine lange Strecke vor? Teilen Sie uns Ihre Tipps im Forum mit. 
Als Teil eines neuen Sicherheitsprotokolls an Flughäfen verlangt die US-Transportsicherheitsbehörde, dass Handys und ausgesuchte elektronische Geräte voll aufgeladen sind und sich einschalten lassen, wenn Sie durch den Sicherheitscheck gehen. Geräte, die sich nicht einschalten lassen, sind ab sofort auf Flügen in die USA nicht mehr erlaubt.
Diese Maßnahme dient der erhöhten Sicherheit. Denn Terroristen wie Al-Qaida könnten Sprengstoff in Handys, Tablets oder Laptop-Akkus verstecken und damit ein Flugzeug sprengen. Die Transportsicherheitsbehörde wird Reisende an Sicherheits-Prüfstellen dazu auffordern, ihre elektronischen Geräte einzuschalten, und so sicherstellen, dass sie zur Einfuhr sicher sind.
Die Überwachung betrifft Flüge mit Reiseziel USA, die von Europa, dem Nahen Osten und Afrika kommen. Wenn Sie in die USA reisen, laden Sie deshalb Ihre Akkus voll auf, bevor Sie zum Flughafen kommen.

Außer der Kontrolle von elektronischen Geräten an Flughäfen und Flugzeugen werfen die Beamten der Transportsicherheitsbehörde zudem auch einen genauen Blick auf das Schuhwerk von Reisenden.
Die USA lassen künftig keine ungeladenen Elektrogeräte mehr auf Flügen zu. Die Regelung betrifft Smartphones, Tablets und Laptops. Wer beim Sicherheitscheck mit leerem Akku auftaucht, darf eventuell nicht an Bord.

Für einen kompletten Kaltstart benötigt das Aldi-Notebook knapp 15 Sekunden. Ein guter Wert und mit ein Verdienst der SSD (Phison) auf der auch das Betriebssystem installiert wurde. Weitere Speicherkapazität stellt eine ein Terabyte fassende Toshiba-HDD bereit. Wer das Notebook nach der Arbeit einfach zuklappt und zu einem späteren Zeitpunkt wieder aufklappt (Warmstart) muss kaum Wartezeiten in Kauf nehmen.

Für Alltagsaufgaben wie Surfen im Netz, Abspielen von HD-Videos sowie der Textverarbeitung und Tabellenkalkulation stellt der Intel Core i5-Prozessor mehr als ausreichend Reserven bereit. Programme öffnen generell zügig. Selbst das ein oder andere Spiel lässt sich mit dem Medion-Notbook spielen, sofern ihr es in den Grafik-Detaileinstellungen nicht übertreibt.

Die gefühlt flotte Performance unterstreichen die Benchmark-Ergebnisse. Testweise installierten wir Cinebench R15 auf dem Rezensionsgerät. Die integrierte Intel Iris-Grafik erzielte dabei respektable 31,71 Bildwiederholungen in der Sekunde. Nach Abschluss des CPU-Tests standen 317 CB-Punkte auf der Uhr.

Die USA verbieten aus Sorge vor Anschlägen künftig bei bestimmten Direktflügen aus Europa die Mitnahme von Smartphones mit leerem Akku. Das gelte auch für andere elektronische Geräte bei Flügen, die von bestimmten Flughäfen in Europa, dem Nahen Osten und Afrika in die USA starten, erklärte die Behörde für Transportsicherheit (TSA) am Sonntag in einer kurzen Mitteilung ohne Nennung weiterer Details.
Damit blieb unklar, um welche Länder es geht. Beim Bundesinnenministerium war am Sonntagabend zunächst keine Stellungnahme dazu erhältlich, ob auch Flüge ab Deutschland davon betroffen sein werden.

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Bord-Verbot mit ungeladenem Handy?
Sicherheitsbeamte können der TSA zufolge künftig Fluggäste beim Einchecken auffordern, ihre elektronischen Geräte einzuschalten. Sollte sich zeigen, dass deren Akku nicht geladen ist, dürften sie nicht mit an Bord. In Sicherheitskreisen hieß es, es gehe unter anderem um Apples iPhone und Galaxy-Smartphones von Samsung. Betroffen seien auch Tablet-Computer, Laptops und andere Geräte.Fluggäste müssten auch mit anderen zusätzlichen Sicherheitsüberprüfungen rechnen. Unter anderen könnten einzelne Passagiere zusätzlich von Sicherheitsbeamten abgetastet werden, berichtete die Zeitung USA Today. Die Sicherheitsbehörden hätten Sprengsätze im Visier, die als elektronische Geräte getarnt werden könnten, hieß es unter Berufung auf Sicherheitskreise.

Die US-Regierung hatte am Mittwoch verstärkte Sicherheitsmaßnahmen an Flughäfen mit Direktverbindungen in die USA angekündigt. Hintergrund ist nach Angaben von Insidern die Sorge, dass sich Al-Kaida-Mitglieder in Syrien und Jemen zur Entwicklung von Bomben zusammengeschlossen haben, die an Bord von Flugzeugen geschmuggelt werden könnten.

Deutschland als Anschlagsziel: Regierung warnt vor Isis-Kämpfern
Die Bundesregierung warnt vor Rückkehrern aus der Bürgerkriegsregion Syrien: Für die oftmals radikalisierten Dschihad-Kämpfer der Isis und deren Abspaltung IS ist Deutschland von großer Bedeutung – auch als mögliches Anschlagsziel. Angesichts des Bürgerkriegs in Syrien hat die Bundesregierung vor erhöhter Terrorgefahr durch rückkehrende radikale Islamisten, speziell von Mitgliedern der Organisation Islamischer Staat (IS) gewarnt. „Deutschland hat für Isis einen hohen Stellenwert - nicht nur für die Rekrutierung von Kämpfern für den Dschihad, sondern auch als mögliches Anschlagsziel“, sagte Stephan Mayer von der CSU und innenpolitischer Sprecher der Unionsfraktion, der „Passauer Neuen Presse“.Die Sicherheitsbeamten hätten Anweisung, alle elektronischen Geräte wie etwa Handys zu kontrollieren und könnten dabei fordern, dass diese eingeschaltet werden, erklärte die Flugsicherheitsbehörde TSA am Sonntag. Entladene Geräte werden nicht an Bord zugelassen, hieß es. Zudem müssten Passagiere, die Geräte mit leeren Akkus mitführen, mit zusätzlichen Kontrollen rechnen. Der Fernsehsender NBC berichtete, die Behörden fürchteten, dass Laptops, Tablets, Handys oder andere elektronische Geräte als Bomben eingesetzt werden könnten.

 

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Angesichts des Rückstands der deutschen Autoindustrie bei der Fertigung von Batterien für Elektroautos hat VW ein Umdenken gefordert. Ich bin der Meinung, wir brauchen eine Batteriefertigung in Deutschland. Das ist die Kerntechnologie der Elektromobilität, sagte VW-Markenchef Herbert Diess in Wolfsburg der Deutschen Presse-Agentur. Ein großer Teil der Wertschöpfung wird in Zukunft die Batterie sein. Insofern fände ich eine konzertierte Aktion richtig.

Für ein einzelnes Unternehmen seien Investitionen in eine eigene Zellfertigung schwer darstellbar, sagte Diess. Es gebe dazu Gespräche mit der Politik. Auch innerhalb der Industrie zusammenzuarbeiten, kann man sich schon vorstellen. Dabei geht es um die neue Generation der Batteriezellen.

Um mehrere Millionen Zellen herzustellen, sei ein Investitionsvolumen von mindestens einer Milliarde Euro erforderlich, hieß es im Fortschrittsbericht der Nationalen Plattform Elektromobilität, einem Beratungsgremium der Bundesregierung, vom vergangenen Jahr.

Zellen von Batterien gelten als Schlüssel für den Durchbruch von Elektroautos, weil sie bisher die Reichweite begrenzen und die Fahrzeuge teuer machen. Deutschland droht aber bei der Zellfertigung abhängig vor allem von asiatischen Herstellern zu werden.

Die größten Produzenten von Batteriezellen stammen inzwischen aus Fernost. Firmen wie Samsung, LG oder Panasonic können hier Größenvorteile ausnutzen, weil sie nicht nur für E-Autos, sondern auch für Batterien in Handys, Laptops und Tablets produzieren. Der E-Auto-Pionier Tesla baut in den USA zusammen mit Panasonic die bisher größte Zellfertigung der Welt auf, die 2017 starten soll.

Die wachsende Produktion macht die Zellen der aktuellen Generation billig, einen Neueinstieg aber umso teurer. Daimler, der bisher einzige auf diesem Feld tätige deutsche Hersteller, will deshalb zum Jahresende die Zellenproduktion im sächsischen Kamenz einstellen.

Ändern könnte sich die Lage, wenn neue Generationen von Zellen auf den Markt kommen. Dann könnten sich Investitionen in neue Produktionsstandorte wieder lohnen, heißt es in der Branche.

Betriebsräte der Autobauer hatten wiederholt eine eigene Batterie-Zellfertigung gefordert. Am Dienstag trifft sich Bundeswirtschaftsminister Sigmar Gabriel (SPD) am Daimler-Standort Gaggenau in Baden-Württemberg mit Daimler-Betriebsratschef Michael Brecht sowie dessen Amtskollegen bei VW und Porsche, Bernd Osterloh und Uwe Hück. Dort geht es auch um das Thema Elektromobilität.

Eine Aufholjagd ist aufwendig und dauert, aber wir dürfen keine Zeit verlieren, sagte Diess. Volkswagen hatte als Reaktion auf den Abgas-Skandal angekündigt, Zukunftstechnologien vorantreiben zu wollen. Dazu zählt auch die Elektromobilität. Die Verkaufszahlen von Elektroautos in Deutschland sind immer noch sehr gering. Anders als in anderen Ländern gibt es keine Kaufprämien.

Es klingt hart, aber aus heutiger Sicht besteht die Gefahr, das nicht Deutschland der Leitmarkt für Elektromobilität sein wird, sondern nach Stand der Dinge möglicherweise China, sagte Diess. Dort gebe es hohe Förderungen. Der Automobilstandort Deutschland dürfe sich nicht abhängen lassen. Das Know-how und die richtigen Fahrzeuge haben wir in Deutschland, aber ohne eigenen Markt werden wir es nicht schaffen. Ich bin deshalb für Kaufanreize für Elektroautos in Deutschland - wie die konkret aussehen, darüber muss man reden.

Auch VW-Betriebsratschef Osterloh forderte in dem Doppelinterview Kaufanreize: Wir brauchen natürlich höhere Stückzahlen, damit es sich lohnt.Die Tasten sind allesamt unbeleuchtet, was die Ablesbarkeit in dunklen Arbeitsumgebungen erschwert. Dafür fand Medion beim Akoya E6418 ausreichend Platz für einen vollwertigen Nummernblock. Zwar lässt es sich auf der Medion-Klaviatur prinzipiell ohne Lernkurve flüssig schreiben - wirklich Freude kommt bei uns dabei jedoch nicht auf.

Überraschenderweise liegt dies nicht an einem schwammigen Druckpunkt oder einem ungewöhnlichen Tastenhub. In beiden Disziplinen erreicht das Rezensionsgerät gutes Mittelklasse-Niveau. Uns stört jedoch die klappernde Geräuschkulisse des Gehäuses, wenn wir ein wenig beherzter in die Tasten hauen. Auch nicht schön: Bei punktuellem Druck wölbt sich das Tastaturbett. Manch ein Konkurrenzmodell muss mit der gleichen Unart leben.

Das Trackpad lässt bei uns schnell den Wunsch nach einer über USB angeschlossenen Maus aufkeimen. Der Druckpunkt ist schwammig und wird am oberen Rand deutlich stärker. An den unteren Rändern lässt sich der Mausersatz bedenklich tief eindrücken - und nimmt den umliegenden Rahmen gleich mit auf Talfahrt in Richtung Schreibtischplatte.

Aldi Nord hat den Medion Akoya S2218 (MD 99630) seit dem 24. September im Angebot. Der Mini-Laptop mit 11,6-Zoll-Bildschirmdiagonale kommt mit Windows 10, bietet eine Full-HD-Auflösung, hohe Akku-Laufzeit und kostet günstige 239 Euro. Damit sind für Tester auch schon die wesentlichen Highlights des neuen Aldi-Notebooks aufgezählt. Die Leistung entspricht trotz einer verbauten SSD dem niedrigen Preis, die Hardware ist stellenweise etwas knapp bemessen. Dennoch kann man das neue Aldi-Angebot durchaus als Schnäppchen bezeichnen. Das Notebook war ab dem 3. September auch bei Aldi Süd zu haben.

Der Medion Akoya S2218 (MD 99630) richtet sich an Einsteiger, die mobil surfen und bequem mit Tastatur und Touchpad oder einer angeschlossenen Maus arbeiten wollen. Für diese Nutzer ist der Laptop bei dem Preis durchaus attraktiv. Mit 1,2 Kilogramm und einer angegebenen Akku-Laufzeit von 9 Stunden ist eine Nutzung unterwegs problemlos möglich. Nur: Der Bildschirm ist nicht matt, potenzielle Käufer sollten sich dessen bewusst sein und das Gerät eher für eine Nutzung im Haus, im Büro sowie in Bus und Bahn vorsehen.

Der Medion Akoya S2218 (MD 99630) bietet mit einem Intel Atom Z3735F (integrierte Intel-Grafik) und 2 GB RAM eine Leistung, die für Windows 10 gerade so ausreicht. Unter Office oder in Web-Browsern dürfen Sie keine Geschwindigkeitsrekorde erwarten. Der Flash-Speicher mit 64 GB dürfte die Ladezeiten für Programm jedoch deutlich verringern. Wer mehr Platz braucht, der kann eine Mikro-SD-Karte einsetzen oder externe Datenträger über einen der beiden USB-2.0-Anschlüsse einbinden. USB 3.0 fehlt, ebenso wie ein LAN-Anschluss und Gerätetypen-bedingt ein optisches Laufwerk.

Dafür nimmt der Medion Akoya S2218 Netz-Verbindung über WLAN auf und klassische Online-Kommunikation ist mit der eingebauten Webcam (inkl. Mikrofon) möglich. Per HDMI schließen Sie den Laptop an TVs oder Beamer an, für Filme und Videos unterwegs nutzen Sie den Audioausgang (Klinke).

 

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Le volume d’immatriculations de voitures neuves recule nettement dans Paris, et avec lui, le nombre de concessions et de garages de marque. D’autant que les promoteurs ne manquent pas d’idées pour transformer les lieux.

C’est une petite rue tranquille du 16e arrondissement de la capitale, près de la Maison de la Radio : depuis quelques semaines, la seule concession Porsche de Paris, est surmontée... par quatre étages de logements sociaux. Un symbole fort pour la Ville, flattée d’avoir attribué de nouveaux voisins aux vendeurs de Cayenne et de sportives 911, après réhabilitation de ce petit immeuble ancien. Au moins, l’activité de la marque allemande et de son garage peut-elle continuer, contrairement à beaucoup d’autres sites voisins qui ont choisi de décrocher leur enseigne ces dernières années. Ne cherchez plus le garage Citroën de l’avenue Mozart, un peu plus loin, qui datait de 1930 avec sa haute façade vitrée en accordéon : dans ses 9.000 m2, on trouve depuis peu un Monoprix, des logements pour les fonctionnaires de grands ministères, et un établissement médicalisé pour personnes âgées. Le vaste site Peugeot de l’avenue Théophile Gautier ? Plus question de marchander une remise sur votre prochaine 308, mais on peut y guetter les soldes sur les matelas de la Compagnie du Lit.

Même sort fatal pour le garage Renault de la rue de la Pompe, à Passy, qui aura trépassé au terme de soixante-dix ans d’activité. Vendu par le constructeur au promoteur Sodéarif, qui a fait table rase, l’adresse compte à présent 42 logements de standing, 38 logements sociaux et une crèche. Au vu de cette mutation subite, certains penseront logiquement que la voiture électrique s’affirme comme un des rares sanctuaires parisiens de l’auto. Pas vraiment la route suivie par Tesla : la renommée marque californienne de « supercars » gavées aux 220 volts avait certes ouvert, à l’époque où personne ne la connaissait (2010), un petit showroom sur l’imposante avenue Kléber, près du Trocadéro, mais a résilié depuis son bail, pour se replier sur son site beaucoup moins glamour de Gennevilliers, et n’a toujours pas à ce stade de plan précis pour reconquérir la capitale.

Syndrome classique des beaux quartiers, où les distributeurs privés, quoique entourés par une clientèle très solvable, ne peuvent plus résister face au prix du mètre carré ? Loin de là. Toute la capitale voit désormais ses concessions déménager de l’autre côté du périphérique. « Franchement, je ne connais aucun distributeur qui gagne bien sa vie dans Paris », invoque le président d’un groupe de concessions. Rue de la Croix-Nivert dans le 15e, la vitrine Hyundai est à présent déserte, passée par pertes et profits par le groupe privé JFC Duffort Motors. La succursale historique de Mercedes-Benz, boulevard Voltaire, qui officiait depuis 1938 ? Elle vient d’être livrée cet été aux bulldozers, avec 5.500 mètres carrés de bâtiments d’époque, la mairie ayant décidé depuis longtemps de récupérer ce terrain pour en faire une ­« coulée verte », promise pour 2018.
Autre opération en date, la fermeture toute fraîche de Citroën avenue Jean-Jaurès (19e). Elle suit de peu la disparition, l’an dernier, d’une autre concession historique des chevrons sur la très passante avenue d’Italie, dans le XIIIe. Prochain sur la liste, cet autre site Mercedes de Jussieu (5e), un vaste îlot tout proche de la Seine que son propriétaire a préféré vendre avec sa station-service de quartier. Il sera rasé pour faire place à un luxueux programme résidentiel de la Cogedim, affiché pour la fin 2018. Dans la profession, il se murmure encore que bien d’autres sites établis, arborant les emblèmes de Fiat, Volkswagen ou Renault-Dacia, sont menacés par ce mouvement de consolidation à brève échéance.

« A Paris, plus personne ne s’installe. Il y a une vraie problématique immobilière, il est très difficile d’y exploiter un garage. Et plus vous êtes près du centre, plus c’est compliqué », résume Olivier Hossard, membre du directoire du Conseil national des professions de l’automobile (CNPA) et patron du groupe Vauban Automobiles. « On m’a proposé des projets récemment, mais, à chaque fois, le modèle est très contraint, et je ne m’en sens pas les moyens financiers ou commerciaux », renchérit son collègue Edouard Schumacher, président du groupe familial de distribution Schumacher, qui s’est recentré sur l’ouest de l’Ile-de-France. « Jusqu’au milieu des années 1990, notre groupe comptait 5 concessions Renault dans Paris, que le constructeur au losange a finalement reprises en direct. Aujourd’hui, il n’en subsiste plus que deux. »

Voilà, vous étiez à quelques kilomètres de la fin de la grosse sortie d’entraînement ou à peine parti de la maison pour vous rendre au travail, et, pan c’est la crevaison. Une crevaison, peut être rapide : on est à plat quasi d’un coup, on peut même en entendre le bruit. Si elle est lente, on commence à sentir une perte d’adhérence quand on vire, la direction se fait granuleuse et petit à petit on sent la jante taper sur le bitume.

Quoiqu’il en soit il faut s’arrêter vite, mais pas n’importe comment. Rejoindre le bord de la route, sans freinage brusque, sans changement de direction : sans adhérence, la chute est vite au rendez-vous. Une fois posé à un emplacement sécurisé, on commence par désserrer son frein, à l’aide de la molette située à cet effet sur les étriers. Avec des roues de 25, il reste difficile de sortir la roue en force, et cela s’avère souvent dommageable pour le matériel. La roue arrière est plus ennuyeuse à démonter, et, c’est pas de chance, mais la répartition du poids sur un vélo fait que la plupart des crevaisons se font sur le pneu arrière. On recommande donc avant de la retirer de placer le dérailleur sur le dernier pignon en bas, là où le dérailleur n’est pas en tension, cela permettra également une meilleure insertion une fois la réparation effectuée.

Pour opérer il vaut mieux poser le vélo à un endroit stable, en évitant de laisser traîner le dérailleur à terre comme de poser l’engin à l’envers, ce qui provoque des dégâts sur les commandes du guidon ou encore des écoulements depuis les bidons qu’on ne pense pas forcément à retirer dans l’énervement. Une fois la roue en main, on repère où se trouve la crevaison afin de retirer les restes de bouts de verre ou de cailloux qui resteraient sur le pneu. A l’aide du doigt on renouvellera cette exploration à l’intérieur de celui-ci, afin d’éviter une nouvelle crevaison quelques hectomètres plus loin.

On sorte ensuite du kit de réparation – obligatoire pour tout cycliste quel que soit sa pratique ! – ses démonte- pneus. On en place un à l’opposé de la valve, là où le pneu est le plus tendre. On sort le pneu d’un geste, on pose les deux autres à 10/15 cm de chaque côté du premier. On retire alors la chambre à air percée, à laquelle on donne un coup de gonflette pour repréciser l’origine de la crevaison et on évite, bien entendu, de l’abandonner salement en rase campagne.

On gonfle très légèrement sa remplaçante, que l’on place ensuite dans le pneu comme dans un rail et on plaque ensuite le pneumatique dans la jante. Si celui-ci est tendre ou si l’utilisateur est un vieux routier, il lui sera facile de clipser le tout. Dans les autres cas, les cyclistes utilisent souvent les démonte-pneus : hélas les chances d’aller pincer la chambre sont très élevées. Il va falloir travailler la force des doigts ! On administre ensuite un petit massage à l’ensemble histoire de travailler la flexibilité du pneu pour replacer la chambre à l’intérieur et ne pas créer une hernie.

On gonfle ensuite à l’aide d’une mini-pompe ou d’une cartouche d’air comprimé. La plupart du temps, on ne regonflera pas aussi fort qu’à l’accoutumée, mais à un niveau qui permet au moins de regagner son domicile. On remonte la roue doucement, en replaçant bien la chaîne sur le petit pignon et on donne quelques coups de pédales à vide pour s’assurer que tout le matériel est bien en place. Après quelques coups de pédale à vitesse réduite, une fois que tout semble au mieux, la route s’ouvre à nouveau ! Inutile de préciser qu’avoir sur soi une deuxième chambre de rechange permet également de repartir l’esprit plus tranquille…

L’article 1147 du code civil oblige tout entrepreneur à réparer les défauts provenant de l’exécution défectueuse (ou avec retard) des travaux et leurs conséquences (telles que des infi ltrations d’eau dues à la mauvaise étanchéité d’une fenêtre, par exemple). Pour s’exonérer de sa responsabilité, l’entrepreneur doit, selon le même article, prouver que ces défauts, retards ou dommages proviennent d’une «cause étrangère».
L’entrepreneur a une obligation de résultat

Selon les tribunaux, un entrepreneur a une «obligation de résultat». C’est-à-dire que, pour agir contre l’entrepreneur, vous n’avez pas à prouver une faute de sa part, mais seulement l’existence des défauts. La responsabilité instaurée par l’article 1147 englobe les défauts des matériaux mis en oeuvre par l’entrepreneur, par exemple en cas de remplacement de fenêtres, les fenêtres elles-mêmes. Toutefois, la responsabilité de l’entrepreneur n’est pas engagée pour des défauts mineurs, sauf s’ils ont fait l’objet de réserves de votre part pendant le chantier ou à la fi n de celui-ci. C’est ce qui a été jugé, notamment, pour des défauts d’ordre esthétique.
La réception des travaux

C’est une étape cruciale, quelle que soit l’importance du chantier: une fois les travaux achevés, il faut toujours procéder à leur réception. Elle consiste à faire le tour du chantier avec l’entrepreneur, afi n de détecter les éventuelles malfaçons et défauts de conformité, puis à signer un procès-verbal de réception. S’il s’agit de travaux importants, n’hésitez pas à vous faire assister par un architecte. Si, lors de la réception, vous constatez des défauts apparents, décelables par une personne n’ayant pas de compétences techniques particulières, vous devez les mentionner sur le procès-verbal de réception. Si vous n’avez émis aucune réserve, vous ne pourrez pas obtenir réparation des désordres apparents.

Les recours amiables

Si vous constatez les défauts en cours de chantier ou lors de la réception des travaux, signalez-les à l’entrepreneur, verbalement puis par écrit s’il ne donne pas suite.

Si les défauts n’ont pas été rectifiés à la fin du chantier, faites des réserves écrites, sur le document que l’entrepreneur vous demandera de signer, ou, à défaut, par lettre recommandée avec avis de réception. Rappelez lui aussi les dispositions légales engageant sa responsabilité, et mettez-le en demeure d’agir dans un délai précis.

Parallèlement, pour conserver un moyen de négociation avec l’entrepreneur, refusez de payer la totalité du solde des travaux, et conservez une somme correspondant, selon vous, au coût de reprise des malfaçons, bien que ce ne soit pas prévu par la loi. Lorsque l’entrepreneur remédie aux défauts, versez-lui le solde du prix.

 

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